Montorfano | Hysterical Sexual
Anish Kapoor evoca il corpo umano in modo primordiale: attraverso forme curve, nicchie, materiali tattili o colori accesi e risonanti. Una qualità sensuale e antropomorfa permea il suo lavoro in un’ampia gamma di materiali, scale e colori. Delle sue sculture, Hysterical Sexual è tra le più sfacciatamente suggestive. Vista da lontano sembra una fredda, astratta forma ovoidale spaccata nel mezzo; allo stesso tempo, ha un’innegabile somiglianza con la parte più intima del corpo femminile.
Questa elegante opera d’arte in fibra di vetro e oro è un focolaio di dicotomie. La sua forma liscia e sensuale attira lo spettatore ma è dura al tatto, l’antitesi della carne cedevole dei genitali. La sua superficie specchiata invita il mondo esterno, lo chiama a sé riflettendolo e, nello stesso istante, quando siamo sufficientemente vicini per specchiarci, storpia i lineamenti, incurva i visi e i corpi, rende i vertici taglienti e liquida il centro nell’obesità. Solo la cucitura centrale rimane stabile. Inanimata, resiste alle forzature, a qualsiasi ingresso, separandosi solo quanto basta per rivelare uno scorcio allettante del suo baratro interiore. Fermi sulla soglia del nero tentiamo nuovi angoli e nuove visuali, tentiamo di vedere, cercare qualcosa al di là della spaccatura che attira la nostra attenzione chiudendoci nella sensazione del perturbante, trattenendoci così in uno stato di incertezza, di sospensione fra il dominio dell’inanimato e quello dell’animato, senza che si possa attribuire con sicurezza quel che percepiamo all’uno o all’altro regno. Ma una soglia non rimane mai nella stasi, rincorre qualcosa di familiare e di pericoloso.
Disorienta, perché ci obbliga ad abbandonare lo spazio in favore del limite. Stupore e spavento, eccitazione e ritrosia sono davanti a noi come una camicia sbottonata e con curiosità ci abbandoniamo al movimento, alla vita, all’aura che rende desiderabile quella spaccatura di fronte a noi. La soglia ha trasformato il tempo della scoperta in estasi del gioco, non una situazione di sogno in cui ci si muove senza il peso del reale, ma il godimento di sottoporsi a delle regole perché nel gioco non ci si può sottrarre, l’obbligo che ne deriva è analogo a quello della sfida.
L’esigenza di credibilità che avvolge tutto il reale è volatilizzata nel gioco, una sfera che non è illusione e diversivo ma un’altra logica, artificiale e iniziatica, in cui le determinazioni naturali della vita e della morte vengono a cadere. È in questo fare ludico che la scultura di Kapoor prende vita. Ed è nel mentre in cui giochiamo che facciamo esperienza del segreto. Mentre danziamo con il viso davanti a quella spaccatura che è diventata anfratto, mentre scaviamo con lo sguardo sopra quel taglio tra i due turgori, il gioco prende avvio nella qualità della seduzione: il segreto. In questo gioco, tutto quel che può essere svelato passa a fianco al segreto. Non è un significato nascosto, non è la chiave di qualcosa; circola e passa attraverso tutto ciò che può essere detto, come la seduzione corre sotto l’oscenità della parola. Come sostenne Baudrillard: il segreto detiene il suo potere al solo prezzo di non essere detto, proprio come la seduzione opera per il solo fatto di non essere mai detta, mai voluta. Il nascosto o il rimosso hanno la vocazione a manifestarsi, mentre il segreto non l’ha affatto. Se la seduzione ha la forma di un enigma da risolvere, il segreto corre sotto le parole, corre sotto il senso, ed è lui a toccarci per primo, ancor prima che le frasi e il senso ci raggiungano, prima che svaniscano. Questa soglia sulla quale stiamo e questo gioco, che senza sapere conduciamo, ci conducono allora a un punto vuoto come se la realtà volesse praticare una vendetta a tutte le interpretazioni per turbare lo sviluppo del mistero così che anche il tacere sia il rullare del silenzio che rode questo deserto.
È tempo di fermarsi. Riappropriarci dello sguardo. Infrangere le regole ed uscire dal gioco. Perdere. Stare nel lento e brutale estenuarsi che è la messa al bando dalla nostra stessa partita. E per farlo dobbiamo allontanarci, ritornare a guardare la scultura da una distanza di debito, una distanza che possa rimettere in questione il gioco e il segreto su un campo di sfida dove siamo in pericolo ma nell’ordine dell’attacco.
Notiamo allora che questa carne e questa frattura sono ricoperte d’oro siglando così il sesso con la preziosità, ma sottolineando anche il suo valore materiale, il suo valore di merce. E questa merce ci grida che deve sedurre i consumatori, spettacolarizzando in misura crescente la sua immagine nella comunicazione attraverso un arricchimento del suo contenuto estetico e un impoverimento conseguente del suo contenuto referenziale, allo scopo di farsi notare nel magma caotico e informe della comunicazione, nella quantità esponenziale delle immagini. Il segreto, l’illusione, l’apparenza, la distanza e tutto quanto faceva parte della sfida seduttiva si stanno progressivamente dileguando. Diventando merce e seguendo la genesi della merce, questa scultura perde il segno della propria leggibilità, il proprio prezzo, il proprio valore di scambio a vantaggio dell’assoluta vicinanza con la liquidità feroce dei segni. La scultura-merce diventa la vicinanza con la cosa ricolma di direzioni, pose, aggettivi, possibilità, liquida tutte le libertà che circolavano intorno a lei, accavalla i significati rendendo tutto convulsivo, caotico. Come la merce che fa avanzare pretese impossibili, consegnando l’illusione della propria eternità, così Hysterical sexual si rende desiderabile fino alla trasparenza assoluta, fino alla superficialità generalizzata sparendo nell’oscurità e nel silenzio del più visibile del visibile: l’oscenità.
Cosa resta? Resta la finzione, la fiction purissima: il tempo della narrazione dove cade ogni differenza tra realtà e apparenza. Resta la semplicità spietata e totale delle cose.
ANISH KAPOOR – HYSTERICAL SEXUAL | 2016 | Fibreglass and gold | 150x97x41 cm | Private Collection.
Erica
Caro Michele, “la parte più intima del corpo femminile” … potrebbe anche essere il cuore. Vulva non è una parola impossibile né oscena, mi pare. Specchiarsi in una vulva è rivedersi nascere senza riconoscersi.
Carla
Tante cose potrebbero essere la parte più intima del corpo femminile. Altrettanto dicasi per il corpo maschile.
La bellezza, la libertà e la versatilità di una lingua concedono proprio questo: che ognuno nomini o non nomini; interpreti o non interpreti; sappia andare oltre oppure no.