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Montorfano | Nastagio degli Onesti

Commissionata nel 1483 come regalo di nozze destinato a Giannozzo Pucci e alla sua nuova sposa Lucrezia, l’opera di Botticelli fu realizzata per le corrispondenti pareti della camera nuziale, ponendosi così come exempla: delle invenzioni moralizzanti scelte espressamente per ammonire o redarguire.
L’intenzione ci mostra la prima caratteristica del nostro soggetto: il perdono. Questo verrà concesso non attraverso un cammino di comprensione e consapevolezza della propria solitudine ma chiedendo qualcosa all’altro, agguantandolo, affossandolo. La pace sarà pesata sul dolore subito, sulla violenza inferta e subita. Il perdono potrà fiorire solo attraverso una progressiva consumazione.
L’opera di Botticelli è il tentativo di trasporre la storia narrata da Boccaccio nel Decamerone, quella in cui un ricco giovane chiamato Nastagio degli Onesti si innamora della figlia di Paolo Traversari, rampollo di sangue molto più nobile del suo – dettaglio insignificante per lui, convinto com’era di farla innamorare per il tramite dei suoi marchingegni di seduttore danaroso. Tuttavia, per quanto garbati, straordinari e irreprensibili fossero i suoi omaggi, sembrava che, oltre a cadere nel vuoto, contribuissero addirittura ad inimicarsi la fanciulla che, sentendosi forse superiore di rango, era scostante, sgarbata e scontrosa. Nastagio pertanto, al colmo della disperazione, spesso aveva pensato al suicidio, salvo poi scacciare questa tentazione imponendosi di fare il possibile per dimenticarla o riuscire ad odiarla come lei odiava lui. Proponimento arduo questo, perché spegnendosi la speranza allo stesso modo s’infiammava la ripicca d’amore e, siccome il giovane continuava ad amarla e spendere senza ritegno in regali per lei, amici e parenti lo pregavano di lasciare Ravenna, la sua città. Spinto dalle insistenze, un giorno Nastagio montò a cavallo e partì con uno stuolo di amici, fermandosi però a soli due chilometri dalla città. Qui, fatti piantare tende e padiglioni, licenziati gli amici, Nastagio iniziò a spassarsela in banchetti e feste, esattamente come un tempo.

Un mattino però, ritornata la sua fissazione amorosa, si inoltrò nel bosco. La giornata era tersa e la luce alta. All’improvviso, sentì la voce di una donna che urlava e, mentre cercava di orientarsi nella pineta dove era capitato, scorse una figura femminile, bellissima e nuda, graffiata da spine e rovi, correre verso di lui gridando aiuto tra le lacrime inseguita da due cani che, non appena l’ebbero raggiunta, affondarono i denti nella carne.

Dietro di lei un cavaliere armato di pugnale, stravolto dalla rabbia, la insultava e le gridava addosso. Nastagio, benché spaventato, decise prontamente di aiutare la giovane e, trovandosi senza armi, prese un bastone allo scopo di difenderla, ma fu fermato dal cavaliere che gli confidò la verità della storia: quella a cui stava assistendo era una scena di danno eterno, proiezione recidiva di un verdetto definitivo. Il cavaliere, che in vita aveva amato la ragazza, non ricambiato, si era ucciso. Anche lei, sprezzante e indifferente, dopo qualche tempo era morta senza alcun pentimento, condannandosi alle pene dell’inferno. Ora entrambi si destinavano a ripetere ogni venerdì e in eterno la scena di quel reciproco abbrutimento: la donna obbligata a fuggire braccata dai cani; l’uomo, che tanto l’aveva desiderata, costretto a inseguirla e a ucciderla con un pugnale, strapparle il cuore, darlo in pasto agli animali.
Nastagio, terrorizzato e sbigottito, rimase attonito nel bosco fino a quando non gli venne a mente che quel chimerico spettacolo poteva essergli utile. Fatto allora un segno per terra, se ne ritornò dai servi e mandò a chiamare un numero cospicuo di parenti e amici, tra i quali Paolo Traversari con la figlia. Quel venerdì fece preparare un pranzo magnifico e diede ordine affinché il tavolo fosse posto nel luogo esatto in cui aveva assistito allo scempio della femmina. Quando assegnò il posto ai suoi ospiti, fece in modo che la ragazza fosse seduta in prima fila, di fronte al palcoscenico della diabolica recita. Al momento del dessert tutti i commensali iniziarono a sentire le grida della donna braccata. Qualcuno si alzò per aiutarla, altri rimasero paralizzati dal terrore. Chi restò più di tutti impressionato dello spettacolo fu la giovane, sadica amante di Nastagio, consapevole di cosa aveva fatto passare al giovane e che già prefigurava per sé una medesima sorte. Suggestionata dalla paura, tramutò l’odio in amore e dopo qualche tempo fece giungere notizia a Nastagio che avrebbe fatto di tutto pur di fargli piacere. Così Nastagio riuscì a sposarla e, aggiunge Boccaccio, tutte le giovani di Ravenna, prendendo lezioni da quello spavento, diventarono fin troppo arrendevoli con i maschi che le corteggiavano.

Ora che siamo a conoscenza della storia possiamo concentrarci sull’esecuzione. Botticelli divide strategicamente il racconto in frammenti adiacenti al campo dell’ordine e della rivoluzione.
L’ordine evento è diviso in quattro momenti chiave. I primi due riguardano la storia che Nastagio subisce, la brutalità della giustizia divina che perfora il mondo; gli altri hanno a che fare con l’evento predisposto da Nastagio: ciò che lui farà subire, l’evento della giustizia che guiderà al perdono.
L’ordine colore è nella tavolozza dell’asprezza e della secchezza, come notò André Chestel. Asprezza e secchezza sono necessari affinché possa apparire come estraneità la violenza degli eventi e divenire psichicamente sostanziale la sovranità del crudele.
L’ordine dettaglio è guidato dall’oreficeria pittorica di Botticelli che in questo caso è al servizio della vertigine. La parte minuscola del dettaglio costruisce la rete del dolore dove lo scostamento dello sguardo e il suo ritorno sono la febbre della curiosità che ci imprigiona nella furia barbara dell’esecuzione.
Ma ad ogni ordine corrisponde una rivoluzione che capovolge gli eventi, li raddoppia, minando il conosciuto per farlo deflagrare.

La prima rivoluzione è data dalle fattezze della giovane, estremamente simili alla “Venere” che qui, da nascente, diventa Venere eternamente messa a morte. Una Venere in fuga, una Venere straziata.

La seconda è data dallo spostamento: nel primo episodio l’esempio più eclatante è costituito dai tronchi degli alberi distrutti e dai cani che affondano le mascelle nella carne della giovane; nel secondo episodio, il taglio che il cavaliere opera sulla schiena della fanciulla per eviscerarla è riproposto nel cielo, in mezzo alla chioma dei pini; l’ultimo esempio è nel terzo episodio, in cui l’ordine dei tronchi tagliati e addobbati si scontra con il disordine della carne azzannata dalle mascelle dei cani.
La terza rivoluzione è la contraddizione dei processi inconsci: ossia l’insensibilità della contraddizione nel mondo onirico ed emozionale. Sono infatti presenti sullo stesso piano figurativo ordini cronologici differenti. Presente e passato si confondono e si uniscono, il prima e il dopo sono cronologicamente attigui. Così, nel primo episodio Nastagio è insieme disperso nel bosco e in difesa della giovane. Nel secondo, la fanciulla è in disperata fuga dal cavaliere e contemporaneamente a terra, persa nel proprio grido di dolore mentre il cavaliere apre la ferita con le mani e ancora i cani divorano le viscere della fanciulla. Nel terzo episodio il sogno, da appartato, diventa plateale operando uno squarcio nella vita stessa che diventa dramma collettivo. Nel quarto ed ultimo episodio, lo sposalizio con i suoi rossi accesi e la propria sontuosità appare come una stretta sezione luminosa praticata nel buio dell’ignoto al pari di tutti i sorrisi forgiati dall’esperienza della paura.

L’opera allora si magnetizza tra questi due macro-poli e diventa ferita, densa e morbida come il corpo inerme che la sogna; reale e crudele come l’emozione sconcertante che trema il corpo del sognatore e lo risveglia. Capiamo allora che la forza primaria del perdono botticelliano non è ancorato alla consumazione della vendetta ma a qualcosa che si rintana tra le pieghe, qualcosa che si copre con il nero della notte. Ciò a cui noi assistiamo guardando le quattro opere in sequenza come una traccia filmica che ci invade e ci urta, è la forza dell’incubo, la sua capacità di dislocare per rioccupare lo spazio in un altrove continuo nel segno di una distanza di qualcosa che c’era e non c’è più, un canto che si allontana e non vuole morire del tutto.
Botticelli ci restituisce il più umano dei perdoni, quello senza grazia, quello che non osa l’inaudito.
È il perdono che non perdona. È il perdono che vilmente sotterra il proprio corpo. E dimentica.


Botticelli | Nastagio degli Onesti | Databile 1843 | Museo del Prado, Madrid | Episodio I-IV.

 

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