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Saracino | Il pacco da giù

L’attenzione, il sentimento, la lealtà e l’umiltà non sono solo alcune delle ineludibili  componenti delle facoltà immaginative, figlie di uno spirito avventuriero e pellegrino. Questi irresistibili “ingredienti” sono anche i fondamenti primi ed essenziali di una filosofia dal sapore italiano – nello specifico, tutto meridionale: quella che sottende alla preparazione del “paccodagiù”.
Perlopiù sconosciuto in quel del Nord (non mi pare esista il “paccodasu”) il paccodagiù è una storia squisitamente attuale, squisitamente antica.
Intanto, nasce da una separazione: storicamente pensato per essere inviato come provvista di beni alimentari agli emigrati meridionali, tra gli anni ’50 e ’60 del Novecento, col tempo ha assunto i connotati di un contenitore simbolico, silente e nascente nella realizzazione di una vera e propria installazione di sensi ed emozioni. Ancora oggi è il dono impacchettato di ermetico affetto per chi, meridionale, vive al nord, causa ragioni di studio o di lavoro; l’omaggio, molto concreto e sostanziale, che corre lungo la linea parallela della corrispondenza postale (sul binario del cuore da una parte; del palato dall’altra); un abbraccio simbolico lasciato sulla soglia di casa dal corriere benedicente.

L’Italia, si sa, è un Paese di buon cibo e buone usanze culinarie; sfaccettato e glorioso nella espressione di pietanze che riflettono soprattutto tracce di identità e di tradizioni culturali. È pur vero, però, che particolarmente “giù” il cibo è estrema sintesi di ospitalità e contatto; aderenza e fedeltà ai luoghi; ponte di conviviale speranza, fasto e festa che si coniugano e si bruciano nell’istante dell’incontro e che lasciano, nei cieli dell’infanzia, irrinunciabili scie di nostalgia. Il paccodagiù nasce per questo: per mantenere calda la replica di un’atmosfera familiare, anche a distanze geografiche forzate.

Dentro, la mamma (assoluta emittente e mittente di golosità) ci mette un po’ di tutto: tarallini, biscotti, pasta fatta in casa, fichi secchi, tonno, salse, salsicce, frutta fresca, dolciumi, formaggi, finanche qualche canotta pesante per le lunghe sere invernali. Poi, avvolge la scatola mummificandola per bene con del nastro adesivo brunito affinché niente e nessuno possano minacciarla, non dimenticando – come nota a margine – di apporre una speciale lacrimuccia.

Per chi non lo conoscesse bene e volesse approfondire ulteriormente l’argomento, ci pensa l’illustratrice Chiara Spinelli, pugliese non a caso, che per Quinto Quarto Edizioni ha pubblicato un incantevole silent book dove il paccodagiù, per l’appunto, viene raccontato nelle sue caratteristiche e seguito nel suo viaggio peninsulare attraverso l’ausilio del solo disegno. Il tratto stilistico di Chiara Spinelli è particolarmente adatto a rappresentarlo perché tra ironia, levità e misura, i suoi colori e le sue linee stilizzate definiscono la resa di un contorno sentimentale dentro cui si inscrive lo scopo del pacco: non solo trasporto di beni di prima necessità, naturalmente, ma anche – soprattutto – di amore, di vicinanza, di condivisione. Il finale del libro è una piccola sorpresa che commuove. Le pagine dell’albo, briose, eclettiche, allegre, fanno del paccodagiù quel che in fondo è: un’istituzione per i meridionali in trasferta; un dono alla vecchia maniera, che non ha bisogno di parole; un modo per scambiarsi conforto e promessa di ritorno. Insomma: un piccolo momento di poesia.

 


Il pacco da giù | Chiara Spinelli | Quinto Quarto | Settembre 2022.

Photo by Dmitry Mashkin

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