Saracino | La lontananza
La “lontananza”, remota o prossima, geo-grafica o iscritta nell’inciso di un sorriso smarrito, è in assoluto una curva di mistero, oltre la quale disponiamo l’udito del mondo a ricordo del tempo. Alle sue sillabe si accorda la continuità senza fine di un agire sempre più a ritroso. Così è per altre parole: “dimenticanza”, “ricordanza”, espressioni di un movimento che sovrasta ogni espediente di banalità ed apre alla refurtiva della miglior vita, quella sentimentale.
Non dissimile è il significato di “esilio”. Termine che sfugge o che, a latere di un’ombra pellegrina, lascia dopo di sé tracce di discolpa, camuffamento, non visibilità.
Nell’adolescenza digitale dei tempi in cui viviamo, fatta di alti e bassi, di oscuri e chiari intervalli di dialogo, di discussioni intermittenti e frante che evidenziano l’abitudine ad esporre il privato, cosa possono significare – ancora – queste parole?
La lontananza dai desideri o dall’oggetto amato, tema di chiara certezza poetica in letteratura, anticamente generoso di immaginari e mitiche sponde di rappresentazione, sembra oggi rivestito di un’enfasi virtuale che lascia incerti: si è lontani veramente da chi? Da cosa? Com’è corrispondere con l’altro alla luce delle nuove tecnologie? Si potrebbe concludere che ogni epoca ha avuto le sue veicolazioni, dalla silenziosa vigilia della separazione all’epistola che sigla il ricongiumento dei due amanti attraverso la scrittura. Ma qui non è lo stesso. Si tratta di rilevare una distanza che a colpi di post consegna al rapporto con qualsiasi essere umano la rapidità delle informazioni.
La tempestività, l’effimero, lo scontato gesto della risposte che baluginano sullo schermo del telefonino come spia di intenzioni automatiche sono sul serio i nuovi canoni della comunicazione? Si accorciano le distanze, aumenta il senso di estraneità dal mondo. In un sistema iperattivo di diagnosi informatizzate, siamo tutti imbevuti di un lontano posticcio, illusorio, paradossalmente aumentato, sopravvalutato. Non già dalla lontananza che era addio, orizzonte o nostalgia sulle labbra dei poeti.
Nella riduzione del mondo costretto alla velocità piatta delle cose e delle persone, risuonano antichi e incauti certi modi di intendere la condizione umana – ora dimenticarla ora ricordarla, perderla di nuovo, fare del lontano e del vicino due facce della stessa liturgia: il sintomo di una radice di appartenenza all’umano respiro, alla stessa morte. Atti desueti, che non si accordano alla tastiera di un pc, che non reagiscono al click di un link addomesticato; che alcune persone, rare e preziose, fortunatamente ancora mettono in pratica, testimoniano, fanno durare.
Foto di Nadine Shaabana