Saracino | L’ordine del disordine
Si potrebbe fare dell’Italia un grosso quaderno di carte fascicolate in blocchi di fruscianti mappe e, sopra questo bel raduno di grafie, tracciare l’ordine di un divertente disordine tra leggende, itinerari e storie straordinarie.
Si potrebbe così, per gioco e per spensieratezza, partire dal borgo comasco di Torno che apparirebbe simile a uno stormo di canti della baldoria, sospeso tra due funi, da un capo all’altro del lago di Como, su cui poserebbero, tra gli altri, panni, stornelli, ritornelli e non ritorni.
Facendo una scarpinata interregionale verso l’ovest, sarebbe rigenerante sostare una notte nella grande Sala del Consiglio del castello di Montiglio, per lasciarsi consigliare sempre meno fino a non ascoltare più niente e nessuno, fino anzi a silenziarsi nell’aria placida dell’astigiano, dove la primavera è un’antica villa aperta sulla campagna.
Muovendo verso l’uscio meridionale, su una sella fantastica, visitare al trotto Albinea (borgo emiliano dove si vedono ancora le lucciole alla sera), che potrebbe diventare nome proprio di una principessa, la principessa Albinea appunto: liquida e gelificata come un albume; albeggiante e albina come un bianco fiammifero di alibi e album di ricordi; una donna solitaria, che alberga nella corteccia di un albero. Nessuno la incontrerebbe mai.
Prima di ridiscendere nuovamente, fare un salto in quel di Treviso, incontrare Bigolino, un folletto dell’omonima frazione, che si dice produca i Bigolini, un tipo di pasta allo yogurt bianco e nero con le patate e le uova intere brillantinate di polvere d’amarena.
Poi, adocchiando la strada per il mare, al galoppo di Bagnacavallo, rispingersi verso sud fino al confine con le Marche, da Gradara progredire fino al giorno 32 del mese prossimo a quello futuro, insomma al mese Andirivieni.
E poi girare, girare intorno alla spina dorsale degli Appennini dove, tra un affaccio tirrenico e una balconata adriatica, scivolando in una botola, si capitola a Fornelli, nel Molise culinario o a Gambatesa, dove si dice tutti si arrabbino più velocemente del previsto e si tirino vigorosi calci tra le ginocchia. A quel punto, diventerebbe quasi dolce riparare sul Pollino, farsi impollinare dai sospiri dei cervi, mantenendo però alta la guardia per non finire morti tra le zampe del temibile, elusivo, Gatto Selvatico.
Tra Valsinni e Metaponto, si fa una sosta pitagorica distesi su ciuffi di erba cipollina; si gustano cibi fritti e ci si immerge nello Jonio salato, pentola a pressione per gli amanti della poesia. A quel punto si arriverebbe a un bivio: proseguire verso il sud della Calabria, altezza Melicuccà, dove donne robuste fabbricano giocattoli di legno per bambini rigorosamente timidi o svicolare nelle Puglie siticulose, selvagginose e lastricate di castelli abitati da cinghiali musuti e cinture di fuoco? A quel punto, bisognerebbe rassegnarsi a una scelta, come è destino fare nell’imminenza dei capolinea. Naturalmente, il viaggio potrebbe proseguire ancora, toccare lidi isolani e molti altri sud, ma si dovrebbe affondare l’immaginazione nella profonda trama della terra. Una specie di discesa verticale. Occorrerebbero molto coraggio e robustezza fisica.
Non potrebbero essere anche questo, l’Italia e gli Italiani, in tempi complicati e poco incoraggianti? Un improbabile racconto numerato dalla fantasia, ma senza pretesa alcuna di classificazione. Un discendere nei tessuti della vita immaginaria, dove tutti possono risconoscersi nel senso lieve ma essenziale della fantasia, ovvero la possibilità di osservare criticamente il mondo in direzione capovolta (mai distorta!), in dolce mutevolezza, non inscalfibile, non rigorosamente accerchiato dal pregiudizio, non infine argomentato dai mille volti dell’egoismo.
Photo by Annie Spratt