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Saracino | Probabilmente dal silenzio

Dire la verità potrebbe dover costringerci ad essere, anzitutto, verità. E in questi giorni di lontananza, di separazione, di esilio dal promiscuo e dai raggruppamenti, il calco dentro cui dovrebbe modellarsi la luce della nostra autenticità appare a fatica: troppo ampio, diffuso o, al contrario, angusto, irriconoscente, stretto nelle fessure della ingenerosità.

In questi giorni difficili, che rallentano il cammino, fagocitano le speranze e i progetti, anche il tempo è un intervallo di pieni e di vuoti, o gradini dentro ai cui interstizi si stagliano certe piaghe, quelle delle paure che abbiamo coltivato precedentemente, in periodi non sospetti, mentre andavamo al lavoro, incontravamo gli amici al bar, passavamo incorporei e fragili nellandirivieni di una quotidianità chiassosa. Perché la paura non esplode solo in momenti drammatici come questi: pandemici, infettivi, globali. Non è semplicemente comunitaria e improvvisa; cresce spontanea nella vita, sincrona alla gioia estrema, in radice solitaria e inevitabile; anche nella quiete, nella non minaccia, nella piana della spensieratezza, lei assolve il compito desserci. E del resto, come ignorarne la potenza rivelatoria, il nerbo dei suoi meccanismi perfetti, i suoi metri e i suoi scarti?

Ora che la paura sintende di noi, da quale ristoro della verità possiamo trarre dolcezza, sollievo, sostentamento?

Probabilmente dal silenzio. Nel tempo delle opinioni distribuite a destra e a manca, sprecate nella valvola di sfogo dello spazio digitale, ciò che dovrebbe muoverci a una vera rivoluzione di noi stessi potrebbe essere, perché no, leducazione a una certa inoperosità, intesa nel senso meno severo possibile. Mi riferisco a quella inoperosità che talvolta è necessaria alla vita, perché occasione di sperpero di se stessi, abbandono e remissione verso le proprie piccolezze o micro forme di orgogli insistenti.

 

 

Perché c’è una fatata dignità nelle ore vuote del nostro stare inerti. Molti poeti e scrittori di fiabe (come non imparentarli?) hanno scovato il meraviglioso proprio nelle pieghe del tempo disatteso. Tra le forre del silenzio non utile al perseguimento di alcun obiettivo, lì, nella pura distanza cronologica dal mondo, si inanellano gli istanti del migliore silenzio, dunque si costruisce una scala della nostra verità, che può diventare il migliore degli aiuti quando, riemergendo gradatamente, scalino dopo scalino, alla vita degli  affari, degli impegni, degli appuntamenti, si dovrà realizzare linevitabile ritorno alla socialità. La vita può attendere a molte destinazioni, che forse suggeriscono più strade di quante credessimo di trovarne al principio. Perché non esiliarci in pomeriggi vani da cui suggere quel gusto antico del valore della perdita di ogni laccio restrittivo sul cuore?

Fu nella mia giovinezza, mentre studiavo, o perlomeno quando ero studente in Inghilterra che in un pomeriggio vuoto trovai nella biblioteca del club degli studenti una traduzione di un racconto celtico, The Voyage of Bran, Son of Febal. –  Per il poeta Adriaan Roland Holst la vocazione alla scrittura si rivelò in un pomeriggio vuoto. E di incenerimento e fuga dal contingente è densa la poesia di Gozzano, la villeggiatura dei suoi versi che vanno a passeggio con la massima levità, portandosi dietro il tragico e il dolore della vita. Perché nel tentare di disperdere il tempo, disgregarne i minuti come rametti secchi da un fusto ben più robusto e largo, elevato e verde, sopravvive l’integrità della volontà che non è indifferente ai drammi e alle sofferenze.

Forse non ci sono giorni della nostra adolescenza vissuti con altrettanta pienezza di quelli che abbiamo creduto di trascorrere senza averli vissuti […].

In Del piacere di leggere di Marcel Proust, dove la stanza destinata alla lettura è arredata di oggetti che non rispondono ad alcuna utilità se non a quella di condurre lo scrittore a una vita dei pensieri più vera e personale, si fa dolce e veritiero un fatto: che nel congedarsi per un podal ciclico appuntamento con le relazioni e i parentadi, nella cesura delle ore, dei calendari, degli impegni da ricordare, lì, sulla soglia inutile del silenzio, in quella che chiamerei una felice distrazione, esiste la possibilità di crearci e ricrearci in una moltitudine di  noi stessi, dai quali è possibile appaia finalmente la nostra parte più integra e fedele compiendosi in una forma a lungo desiderata.

Diventare inoperosi, lasciarsi condurre dallorologio guasto di un tempo capovolto che ci permetta di leggere la realtà e noi stessi per il tramite di un modo nuovo e più teso alla disfunzione della vita: potrebbe essere un cammino di umiltà e una forma di sopravvivenza morale a questi giorni particolari.

 


Photo by Luis Alberto Sánchez Terrones

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