Gullotta | Trieste Occulta
Non sono mai stata a Trieste, ma in realtà l’ho sempre avuta davanti al mio giardino. Il retro della casa in cui sono nata si affaccia su via Trieste; quando ero piccola chiedevo a mio padre chi fosse (sic!) questa Trieste e cosa avesse a che fare con noi. Mio padre mi rispondeva che Trieste era un grande porto pieno di navi perciò siccome frequentavo il giardino solo quando faceva caldo, e per uscire in bicicletta, identificavo Trieste con l’estate, il sole, le serate lunghe e soprattutto immaginavo navi con la vela fatta di scottex (?). Nel frattempo, gli anni passavano, e mentre tutti visitavano Trieste con la scuola, i genitori, con amici e fidanzati, io non la vedevo mai, si allontanava sempre più da me come una sorta di Avalon o l’isola dove vanno a riposare gli Elfi nel Signore degli Anelli. A 17 anni andai per una gara a Pordenone ma no, non a Trieste.
Aprendo questo libro, curato da Lisa Deiuri, laureata in Filosofia, fondatrice di Trieste Arcana e del tour guidato per Promoturismo FVG “Le leggende e i misteri di Cittavecchia” insieme a Francesca Pitacco, storica dell’arte e guida turistica Presidente dell’Associazione Guide Turistiche del Friuli Venezia Giulia, non ho potuto fare a meno di pensare ai “miei” spiriti. Ora, potete anche non credermi, non piangerò per questo, ma io da bambina ero molto sola, più che sola, ero solitaria, che non è proprio la stessa cosa che essere soli, e forse per questo ho vissuto alcune esperienze particolari. E neanche a farlo apposta i “miei” spiriti provenivano tutti da via Trieste. Nemmeno uno che si sia affacciato alla porta principale. La prima volta avevo circa 3-4 anni, mi venne una febbre inspiegabile all’improvviso, tutti dissero perché avevo visto la strega della Bella Addormentata Disney e mi ero impressionata, ma per quanto Disney fosse inquietante e celebre per gli oscuri riferimenti nei suoi cartoni, non era questo il motivo. All’epoca i miei nonni erano ancora vivi e abitavano nell’appartamento sotto al mio. Io pranzavo insieme a loro su un tavolo bianco e mentre loro davano le spalle al terrazzo che si affacciava sul cortile, io invece lo vedevo. Sul terrazzo c’era una pesante tenda di tela avorio. All’una in punto, ogni giorno, nel pieno del sole, sulla terrazza compariva di fronte a me incastrata nella tenda la figura di una donna giovane ma col volto scavato e stravolto dalla sofferenza, magrissima, con lunghi capelli biondi sporchi, un vestito lungo bianco col cappuccio; lei apriva la bocca come per gridare e io vedevo tutti i suoi denti marci mentre allungava le mani verso di me.
Regolarmente, io restavo immobile, smettevo di mangiare, mi veniva la febbre, tremavo, mi infilavano a letto, dopo poche ore mi riprendevo. Questo per settimane, finché l’apparizione proveniente da via Trieste non scomparve quando decisi di pranzare con le spalle al terrazzo e non mi voltai mai più. Nei miei incubi però non è mai scomparsa, spesso si sdoppia, cambia corpo, diventa più grande o più piccola, esce dai tombini e io non riesco mai a sfuggirle del tutto.
La seconda apparizione invece fu molto più borghese e accadde quando ero più grande, a 5-6 anni. Era giugno, come sempre passavo la giornata coi miei nonni e mia nonna stava cucinando. Io giocavo con gli insetti in cortile. Ad un certo punto mi accorsi che in giardino vicino a me c’era una signora con una bicicletta a mano. Tipica bici da donna un po’consumata. La signora, tipica sciura romagnola sui 65 anni: capello corto tinto di biondo, alta, atletica e abbronzata, fondotinta dieci toni più scuri della sua carnagione, copriocchiaie e orecchini tondi a bottone. Le chiesi se cercasse mia nonna, davo per scontato che fosse un’amica di mia nonna o un’ ammiratrice di mio nonno; ma lei mi disse: “Federica, la vita è fatta a scale. Tu scenderai e salirai”. Sul momento ci rimasi male, perché quando si è piccoli si è anche presuntuosi: perché mai dovevo scendere? Perciò mi scocciai e andai a chiamare mia nonna. “C’è la tua amica!” le dissi ma mia nonna mi rispose sorpresa che non aspettava nessuna amica; quando uscii di nuovo la donna non c’era più. Nessuno le aveva aperto il cancello.
Deiuri e Pitacco, con questo libro storicamente accurato, riportano ciascuno di noi ad una sorta di infanzia della mente in cui siamo meno distratti dalla vita e più portati ad accogliere, nel bene e nel male, la spiritualità che fa da contraltare ad una realtà adulta e alienante in cui spesso noi stessi non ci riconosciamo.
Si potrebbe dire che Lisa Deiuri compie un’analisi scientifica e minuziosa del mistero, di ciò che è per sua natura nascosto. Grazie anche alle note storiche di Francesca Pitacco che corredano ogni capitolo, Deiuri con una scrittura agile, coinvolgente e mai supponente, seziona l’occulto di Trieste come farebbe un medico legale col suo paziente; le autrici si avvalgono di prestigiose fonti (citate nella bibliografia) e non si sbilanciano a favore o contro la superstizione, inserendo pareri personali, ma mantengono il distacco necessario allo studioso, che conduce le sue indagini con curiosità e apertura mentale, affidandosi ai fatti e alle testimonianze. Hanno inoltre il merito di far conoscere finalmente il lato oscuro di una città, Trieste, che nella storia ha raramente sfruttato il suo potenziale arcano, anche a scopi turistici, a differenza di altre città popolate da spiriti più mainstream come Torino o Parigi.
Come acutamente osservato dalla poetessa e giornalista Mary B. Tolusso, nella prefazione del libro, “il male affascina”, forse perché dietro al bene di solito c’è sempre il bene mentre dietro al male ci può essere sia male che bene; ovvero, il bene è spesso banale, mentre il male è generalmente imprevedibile, e fonte di quegli abissi amati da scrittori, poeti, artisti, scienziati ed esploratori. Tutti noi temiamo i fantasmi ma passiamo la vita a rincorrerli.
Il libro diviso in cinque sezioni dedicate a folklore, i signori dei Castelli, massoni e gesuiti, vampiri e diffusione/moda di spiritismo VS. spiritualismo, impreziosite all’inizio di ogni capitolo dalle illustrazioni di Deiuri, accompagna il lettore in un viaggio razionale dentro all’irrazionale, e allo stesso tempo gli fornisce importanti nozioni di storia, politica, storia dell’arte, costume e letteratura riguardanti la città di Trieste e dintorni.
In conclusione, forse non vedrò mai Trieste, forse sì, chi può saperlo, ma non so se ne valga la pena dal momento che mi hanno detto che la sua sola attrattiva sono “i negozi di cravatte”.