Montorfano | Automat
Delle punte di giallo come covoni accesi in piena estate.
Una donna seduta; sola. Un filare di luci. Una grande finestra nera. E la notte senza voce, alta, durissima.
Non c’è spirito agonico tra la donna e il grande nero alle sue spalle. Non c’è comunicazione, né relazione tra queste due forme di vita. Qualsiasi azione magnetica del nero è interdetta dal vaso di frutta appoggiato sullo stretto ripiano in muratura che sorregge il vetro. È interdetta dal suo colore.
Ma tra questa donna e la grande finestra c’è uno spazio geometrico tronco. Uno spazio lasciato libero e poi occluso alla vista. Un luogo celato, preservato che Hopper ostinatamente rincorre, ridisegna, ritronca.
No, non è che un incontro questa furia nel fuoco della notte.Questo spazio fragilissimo e quindi vero, direbbe Simone Weil;non è che quel po’ di luce rimasta sul fondo della tela. Quel desiderio così visibile nelle parole quando divampano o in quella crepa che a volte le attraversa lasciandole interrotte, con una voce che le interroga. No, è quel desiderio di cancellare ogni apparenza, ogni bellezza, ogni piacere così che non se ne veda più il sembiante. L’ombra, la grande presenza delle ombre, il loro impero prima di Platone e del suo smembramento.
Sì, non è che un incontro nella più alta forma dell’immagine, nella sua purezza, ossia quando non rimanda più a nulla, quando è attraversata dal mondo e il mondo non la scarna con i resti di sestesso.
Non è che una primavera questo incontro che non vediamo. La grande primavera con i suoi colori accesi e le sue tragedie. Una forma di violenza pura, altissima che spinge il più lontano possibile il rituale della trasparenza per giungere all’indifferenza radicale della propria autenticità. Qui, il senso di questo quadro. La sua verità selvaggia, luminosa e per questo mutilata.
Questo, ciò che non potremo mai offrire alla morte.
La verità, prima della sua forma. Prima del suo uso.